Analfabetismo funzionale, esiste anche quello di ritorno

L’analfabetismo funzionale in Italia è diffusissimo, ma attenzione se pensi che non ti riguardi: esiste quello di ritorno. Occorre avere sane abitudini, mantenere il cervello in attività e usare quello che io chiamo “approccio basato sul dubbio”. Leggi il post per approfondire il tema.

Mi soffermo brevemente su due definizioni per rendere comprensibile il contenuto di questo post. Il particolare ritengo sia utile chiarire la differenza tra analfabetismo strutturale e analfabetismo funzionale.

Volendo ricorrere alle definizioni ufficiali, l’UNESCO definisce l’analfabetismo strutturale come la condizione di chi “non sa leggere né scrivere, capendolo, un brano semplice in rapporto con la sua vita giornaliera“. In genere è considerato analfabeta strutturale chi manca delle abilità di lettura, scrittura e capacità di calcolo.

L’analfabetismo funzionale è invece “la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.
Un analfabeta funzionale non riesce a comprendere adeguatamente testi comuni come corrispondenza bancaria, bollette, foglietti illustrativi di farmaci, mappe stradali, articoli giornalistici, libretti di istruzioni e molto altro abbia a che fare con la vita quotidiana. Ha inoltre difficoltà ad eseguire banali calcoli matematici, possiede scarse competenze nell’utilizzo di semplici strumenti informatici (rete internet, fogli di calcolo, applicativi di videoscrittura, sistemi operativi), ha scarso senso critico, non distingue le fonti di informazione attendibili da quelle non attendibili ed ha scarsa conoscenza dei fenomeni di attualità politica, sociale ed economica.

Chiarito l’ambito delle due definizioni occorre precisare che


analfabeti funzionali non (solo) si nasce,
ma si diventa


Si tratta infatti del cosiddetto “analfabetismo di ritorno”, un fenomeno di retrocessione dovuto alla mancata sollecitazione per lungo tempo delle facoltà dell’intelletto acquisite precedentemente, che solitamente si ottiene attraverso la lettura, l’informazione, la creatività e lo sviluppo di pensieri critici autonomi.


Analfabetismo funzionale e società

L’analfabetismo funzionale è un serio problema delle comunità civilizzate perché potenzialmente in grado di determinarne l’involuzione e dunque il regresso in ogni ambito.

Il principale nodo sul quale il tema dell’analfabetismo funzionale appare davvero preoccupante è l’incapacità del soggetto di discernere ciò che è vero o giusto da ciò che è falso o sbagliato.

Chiunque abbia doti di intelletto e dialettica è in grado di indurre un analfabeta funzionale a credere in possibilità, accadimenti, ideali del tutto falsi o basati su presupposti errati costringendo l’individuo al minimo sforzo intellettivo e ad accettare passivamente una condizione o una proposta.

Esempi di questo fenomeno sono il dilagare di notizie false, di fenomeni di populismo, la diffusione di idee e stili di vita e di pensiero palesemente malsani come il razzismo, la corruzione e la delinquenza (per ottenere, anche nelle piccole cose, il massimo con il minimo sforzo) l’uso della violenza fisica e verbale, l’abuso di potere in ogni ambito, il delegare ad altri decisioni e questioni personali.

L’Italia, da quanto ho approfondito, si posiziona piuttosto male quanto a diffusione del fenomeno dell’analfabetismo funzionale. E’ quanto è emerso dalle ultime rilevazioni di ISFOL per il PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies), un Programma ideato dall’OCSE con l’obiettivo di analizzare le competenze detenute dagli adulti di ogni Paese. Se siete interessati ad approfondire vi inserisco qualche breve dettaglio prima di concludere, ma vi invito a scaricare e consultare il rapporto completo, ricco di dati e informazioni interessanti (link).


Il rapporto ISFOL sull’analfabetismo funzionale

L’inchiesta, che ripartirà per l’Italia nel 2020, permette di misurare le competenze della popolazione adulta attraverso questionari e test cognitivi. Lo scopo è rilevare la presenza/assenza di competenze ritenute indispensabili per partecipare attivamente alla vita sociale ed economica in due ambiti verificando:

Competenze linguistiche (literacy) – capacitá di capire e approcciare in modo appropriato i testi scritti;
Competenze matematiche (numeracy) – capacitá di utilizzare concetti numerici e matematici.

L’ultima rilevazione, i cui dati sono stati diffusi nel 2014, si è svolta tra settembre e marzo del 2012 e ha coinvolto 4.600 persone tra i 16 e i 65 anni.
Le competenze analizzate sono espresse nei test su scale divise in sei livelli che definiscono ciò che una persona è in grado di fare.
L’inchiesta approfondisce anche l’uso delle competenze sul lavoro e nel quotidiano, il livello di istruzione, il background linguistico e sociale, la partecipazione al mercato del lavoro e aspetti relativi al benessere personale.

Gli esiti dell’inchiesta hanno mostrato che il 40% circa degli adulti italiani tra i 16 e i 65 anni si collocano per la maggior parte al livello 2 sia nei punteggi di literacy che di numeracy.
Il livello 3 o superiore è raggiunto dal 30% circa della popolazione in literacy e dal 29% in numeracy, mentre i più bassi livelli di performance (livello 1 o inferiore) vengono raggiunti dal 28% della popolazione in literacy e dal 32% in numeracy . In sostanza


il 70% della popolazione italiana si colloca al di sotto del livello 3,
il livello di competenze considerate necessarie
per interagire in modo efficace nella società del XXI secolo


Nel confronto internazionale gli altri Paesi partecipanti all’indagine che presentano più della metà della popolazione che si colloca al livello 2 o inferiore sono Spagna (67%), Francia (58%), Polonia (55%), Irlanda (55%), Cipro (54%), Austria (53%), Stati Uniti (52%) e Germania (52%).
Dal lato opposto, si collocano Paesi quali Giappone, Finlandia e Paesi Bassi che hanno la più alta percentuale di adulti che si colloca al livello 3 o superiore: rispettivamente 72%, 63% e 61%.

Il rapporto ISFOL nel descrivere questa parte dei risultati (e ponendo ai due antipodi il Giappone e l’Italia) spiega che un adulto medio italiano è capace di integrare gli elementi di informazione presenti in un documento sulla base di appositi criteri, fare confronti, ragionare su informazioni e fare inferenze di basso livello. E’ capace inoltre di navigare in testi digitali e individuare le informazioni presenti.
Diversamente un adulto medio del Giappone è capace di comprendere testi lunghi o densi di informazioni, è in grado di comprendere testi e strutture retoriche e di identificare, interpretare o valutare uno o più pezzi di informazioni e di fare inferenze appropriate. È anche in grado di eseguire operazioni in più fasi e di selezionare le informazioni corrette presenti in testi contenenti informazioni contraddittorie.


Le differenze di genere

In Italia, come nei Paesi OCSE, gli uomini mostrano un significativo vantaggio nelle competenze di numeracy. Il punteggio medio degli uomini supera di circa 10 punti quello delle donne e tale differenza è molto vicina (e anche inferiore) alla media OCSE che è di circa 11 punti.

Nella literacy invece non esistono significative differenze nelle performance ottenute tra uomini e donne. Per citare il rapporto ISFOL “le giovanissime italiane mostrano di aver recuperato familiarità ed esperienza nell’apprendimento e nelle prestazioni di competenze di tipo numerico/matematico e risultano più brave dei ragazzi nelle prove di literacy”. Inoltre “le donne disoccupate registrano un punteggio di literacy più elevato (in misura sensibile) rispetto ai maschi disoccupati. Lo stesso trend si registra per i punteggi di numeracy”. Inoltre “se si analizzano i dati in termini aggregati, si evidenziano elementi interessanti. In primo luogo le donne disoccupate hanno un punteggio medio di literacy e numeracy pari a quello dell’intera popolazione femminile italiana, mentre tra i disoccupati maschi vi è una caduta di circa 15 punti in literacy e 13 in numeracy rispetto al livello medio della popolazione maschile. “.

In un paese come l’Italia, che presenta tassi di occupazione femminile ancora molto bassi, questi risultati sottolineano l’importanza di incoraggiare il lavoro delle donne, portatrici di un patrimonio di competenze largamente sottoutilizzato e in grado di fornire rilevanti contributi allo sviluppo economico del Paese.

Il rapporto, di fatto, ha confermato che i processi selettivi del mercato del lavoro in Italia sono più severi per il genere femminile, a conferma dei noti processi di discriminazione di genere nell’accesso e nel mantenimento di una occupazione.
Nello stesso tempo i dati mostrano che vi è un potenziale significativo di capitale umano femminile che meriterebbe di essere meglio valorizzato sul piano professionale, visto che il livello di competenze delle donne in cerca di occupazione è molto simile a quello delle donne occupate. Viceversa, tra i maschi gli inoccupati hanno livelli di competenza ben al di sotto di quelli dei maschi occupati.


Il livello di istruzione

L’indagine confronta le competenze linguistiche e matematiche degli adulti anche in base ai livelli di istruzione, contribuendo in questo modo a fornire una valutazione del contributo del sistema scolastico e universitario alla formazione delle competenze stesse.

Il dato più preoccupante per l’Italia riguarda il livello medio di competenze dei suoi laureati nel confronto internazionale: in media le competenze linguistiche dei laureati italiani sono uguali o inferiori a quelle degli adulti con un diploma di scuola media superiore nei paesi a più alti livelli di competenza quali Australia, Giappone, Finlandia e Paesi Bassi.


Conclusioni e suggerimenti

I livelli relativamente bassi di competenza riscontrati in Italia rispetto agli altri paesi partecipanti riflettono in parte le basse competenze (sia linguistiche che matematiche) della popolazione più anziana nella fascia di età 55-65 anni. Le fasce più giovani della popolazione ottengono infatti migliori risultati e ciò conferma il significativo miglioramento ottenuto nel tempo attraverso l’investimento in capitale umano in Italia. Resta tuttavia ancora molta strada da fare: infatti anche i risultati dei giovani italiani sono ampiamente al sotto di quanto osservato per le stesse fasce d’età nella maggioranza dei paesi partecipanti all’inchiesta.


Un motivo per cui le competenze linguistiche e matematiche tra gli italiani sono poco sviluppate potrebbe essere ricercato in parte nel loro scarso esercizio/utilizzo.

Il rapporto ISFOL giustifica in parte il fenomeno, con riferimento ai lavoratori, col fatto che l’Italia ha una struttura produttiva ancora dominata da piccole-medie imprese che richiedono forza lavoro con competenze al livello di scuola media superiore e con specializzazioni tecniche. Tuttavia, la disponibilità crescente di adulti con qualifiche universitarie dovrebbe spingere le imprese verso processi produttivi “knowledge intensive” e verso l’innovazione, in modo da sfruttare al meglio le nuove competenze disponibili e necessarie e consentirne l’esercizio.

Sul piano individuale tuttavia ciascuno può regolare le proprie competenze semplicemente esercitandole attraverso:

  • la partecipazione attiva alla vita lavorativa e sociale;
  • la lettura;
  • lo studio individuale e l’aggiornamento;
  • l’informazione su ciò che accade “fuori” dalla propria zona di comfort;
  • il confronto attivo con gli altri.

In generale aiuta molto anche l’attitudine al problem solving e quello che io definisco “approccio basato sul dubbio”. Farsi venire un dubbio, senza avere la presunzione di saperne abbastanza sull’argomento, aiuta ad approfondire, a colmare lacune e a sperimentare nuove possibili soluzioni.

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