Ricetta per la felicità? Possibile!
20/09/2018
Riflessioni e approfondimenti sul tema della felicità.
Un argomento mi sta ronzando in testa da qualche giorno. Roba che interessa tutti e della quale sembra inutile o retorico parlare delle volte. Roba sulla quale hanno ragionato i migliori filosofi e scrittori della storia…
Per qualcuno parlare apertamente di felicità è quasi un tabù, per altri una totale idiozia. “Sei felice?”. Il più delle volte questa domanda così netta mette in imbarazzo, perché la risposta dovrà essere altrettanto netta. Dentro o fuori? Felice o no?
Per molti di noi rispondere “sì” è impossibile: significherebbe che tutto scorre tranquillo, siamo soddisfatti della nostra vita e delle emozioni che sperimentiamo quotidianamente e riusciamo a dare pieno significato ai nostri giorni. Il “sì” è una risposta assolutizzante e omnicomprensiva che danno in pochi, ci piace sentirci vittime del sistema e professarci “non felici” pensando di attirare maggiore attenzione.
Il “no” al contrario (e a complemento del “sì”) racchiude in sé tutte le sfumature del “parzialmente felice” fino ad arrivare al “totalmente infelice” in una infinità di varianti e possibilità interpretative. Questa è la condizione che piace professare alla maggior parte di noi.
Mi è capitato di rivolgere la fatidica domanda a qualcuno poche volte nel corso della mia vita. Si trattava però sempre di persone che avevano appena compiuto una scelta o stavano per compierla. E nel confidarsi e chiedere consiglio io trovavo giusto chiedere se quella scelta fosse un passo per la felicità. E la risposta non è mai stata un “sì”. Si è sempre trattato di scelte “obbligate” dettate dal senso del dovere o da condizionamenti esterni.
Ma quanto siamo complicati! Saremmo davvero in molti a rispondere “sì” se guardassimo più realisticamente la nostra vita, anche se devo ammettere che sono davvero pochi gli sforzi che si fanno in Italia e in tante realtà territoriali locali per generare felicità.
Nel 2011 l’Onu adottò una risoluzione in cui si diceva che “la ricerca della felicità è un obiettivo umano fondamentale” e da allora ha iniziato a pubblicare il World Happiness Report, il report mondiale sulla felicità con il ranking di ben 156 Paesi nel mondo (clicca qui per scaricare il report). Ai primi posti si collocano da lungo tempo i paesi scandinavi Finlandia, Norvegia e Danimarca. L’Italia si colloca al 47esimo posto, principalmente penalizzata, a quanto pare, dalla corruzione e dall’assenza di infrastrutture per l’assistenza infantile.
Secondo Meik Wiking, CEO dell’Happiness Research Institute, per scoprire la ricetta della felicità basta studiare i Paesi ai vertici della classifica. In particolare è autore di un testo (“Hygge. La via danese alla felicità”, edito da Mondadori e pubblicato lo scorso anno) che mette in evidenza come la ricetta sia data fondamentalmente da due elementi, desunti dallo studio della società danese:
- la qualità della vita, data dalla capacità di convertire la ricchezza in benessere per i cittadini attraverso la produzione di servizi, quali l’assistenza sanitaria e l’istruzione universitaria gratuita, e le pari opportunità;
- le relazioni con le persone che amiamo e il piacere delle piccole cose.
Se il primo ingrediente di questa ricetta si ottiene attraverso il duro e diligente lavoro della politica e delle istituzioni a più livelli, il secondo è soltanto di matrice individuale. L’individuo sceglie e cura le proprie relazioni in funzione del proprio benessere e quelle relazioni fondano realmente la propria felicità. E poi il piacere delle piccole cose…il vero problema è riconoscerle! Ci sono piccole cose che, se sappiamo fermarci un attimo, ci arricchiscono enormemente l’anima restituendoci un inatteso benessere.
La felicità sarà presto un argomento sulla bocca di tutti, ne sono certa. Oggi anche le aziende si riorganizzano in funzione del benessere dei dipendenti. Esistono ricerche che evidenziano la correlazione diretta fra la felicità del dipendente e il suo livello di produttività (pare che la produttività del dipendente felice aumenti del 12% mentre crescono a dismisura i costi del dipendente infelice). Proprio in Danimarca ad esempio è stato istituito per le aziende il “direttore della felicità” (chief happiness officer) e in Italia molte aziende stanno rivedendo i piani di valorizzazione delle risorse umane, ridefinendo spazi e tempi di lavoro, pensando alla formazione continua e alle aspirazioni del lavoratore.
Per concludere questo post, già fatto di troppe parole, torno a riflettere sui due ingredienti per la felicità che ho riportato sopra: se ciascuno di noi fosse capace di tenere relazioni di benessere e trarre giovamento dalle piccole cose non sarebbe forse scontata la capacità delle istituzioni di garantire una migliore qualità della vita? E quando cito le “istituzioni” mi piace pensare non soltanto ai tavoli della politica locale, nazionale, sovranazionale, ma anche e soprattutto alle piccole comunità sociali delle quali facciamo parte (gruppi sportivi e per il tempo libero, parrocchie, scuole, luoghi di lavoro, etc.) e dalle quali possiamo cedere e donare elementi di felicità.
Smile